I Racconti del Treno unica parte

Esistono luoghi in grado di liberare le coscienze , posti magici grazie ai quali l’anima si apre al mondo, in cui ci si sente finalmente liberi di essere se stessi.
Ho affrontato più volte lunghi viaggi in treno e sono giunta alla conclusione che  sia questo uno spazio dove si creano le condizioni necessarie per liberare la propria coscienza, anche da pesanti fardelli.
Il treno riparte ogni volta  dalla stazione dove siamo scesi e porta via con se le parole dette, lasciando sulla pensilina un solo bagaglio :  la speranza di non incontrare mai più le persone con le quali , durante il viaggio, abbiamo condiviso segreti reciproci, aprendo il nostro animo, certi di poterci avvalere dell’anonimato.
Ho serbato il ricordo di un episodio accaduto durante un singolare viaggio in treno, nella carrozza dell’Intercity Roma – Genova ,dove sono stata coinvolta in una confessione particolare, un dialogo a due voci con la propria coscienza.
Darò un nome di fantasia alla mia compagna di viaggio: Sara.
Questa è l’unica digressione dal racconto originale, volendo attenermi il più possibile alla verità.
Ecco cosa accadde:
Il paesaggio correva sul finestrino e a stento si riusciva a focalizzare la vita in un casolare che subito svaniva dalla vista… nonostante la velocità del treno, il tempo sembrava non passare mai.
Una frase distolse l’attenzione :
“Mio padre mi ha fatto essere quella che sono”
“Perché solo tuo padre ? Non sei forse frutto anche dell’esperienza di tua madre ?”
Un momento di silenzio avvolse il nostro scompartimento proprio come accade quando si attraversa una galleria e la luce non si accende lasciando per qualche attimo i viaggiatori sospesi nel buio più completo.
“Le cause e le concause di un episodio legato a mio padre mi hanno fatto divenire quella che sono oggi. Non sono in grado di giudicare dove sia il torto o la ragione, posso solo raccontare i fatti per meglio comprenderli.”
Il treno continuava la sua corsa e le parole riempivano gli spazi creando il disegno di un racconto.
“All’età di tre anni avevo assistito, seduta sul mio vasetto da notte, ad una scena che mi aveva molto turbato : mia madre al piano sottostante la scala su cui mi trovavo teneva sulle ginocchia il corpo raggomitolato di mia sorella, di dodici anni più grande di me, e con una cintura la colpiva sul sedere.Le sue grida avevano attirato la mia attenzione al punto da farmi percepire la gravità dell’evento. Prima di perdere conoscenza ricordo che, quando mia madre mi vide, diresse due parole verso il punto dove mi trovavo rivolgendosi a me o probabilmente a qualcun altro.
-Portami subito la crema Fissan – disse”.
Di nuovo il buio avvolse quella rivelazione : il treno camminava portandosi dietro i segreti dell’umanità
“La crema Fissan doveva servire a lenire il dolore sulla pelle di mia sorella, nulla, invece, poteva attenuare in me la pena che provavo. Quando raggiunsi l’età della parola provai a capire cosa era successo quella sera e la risposta che ottenni fu , per me, ancora più lesiva. Dapprima , mia madre, mi raccontò come suo padre solesse impartire nello stesso modo le punizioni ai propri figli ma la cosa mi lasciò del tutto indifferente, giudicandola una inutile barbarie .Insistevo nel voler conoscere la causa di un simile castigo e alla fine, mia madre, stanca delle mie pressanti richieste , mi raccontò come mio padre avesse attentato alla integrità di mia sorella e come quest’ultima, per sfuggire a quelle particolari attenzioni , fosse scappata di casa. Nel sentire quelle parole provai solo orrore: la mia anima di bambina si era squarciata in mille pezzi. Avrei dovuto credere a mia madre e rinnegare mio padre come un reietto o piuttosto era mia madre a raccontarmi una storia inverosimile ed era quindi proprio lei da non considerare più ? Nella mia testolina una sola cosa era certa : la vittima era mia sorella , lei era l’unica a non avere colpa. Nessuno doveva permettersi di farmi pensare il contrario”.
La carrozza sferragliava sui binari e il rumore delle rotaie riempiva in maniera assordante l’angusto spazio che condividevamo in quel viaggio.
“Come pensi avrei potuto appurare la verità e salvare almeno uno dei miei  ?”
” Non potevi chiedere a tua sorella come erano accadute realmente le cose ?”
“No, se lo avessi fatto l’avrei condannata al ricordo e questo, qualunque cosa fosse successo, non potevo infliggerglielo nuovamente. La verità doveva uscire fuori in altro modo”.
A seguito di queste rivelazioni provammo il timore che qualcuno entrasse nel nostro compartimento e ci impedisse la prosecuzione del discorso.
L’animo si stava liberando e nulla avrebbe dovuto ostacolarne il percorso !
Durante quel viaggio si era creata, tra noi, una vera complicità : ognuna di noi sapeva di dover aiutare l’altra a parlare .
“Hai avuto occasione di sapere come erano andate davvero le cose”?
A questa frase seguì un lungo sospiro.
“Si, anni dopo quando ero già grande ebbi la possibilità di conoscere la verità. Attraversavo un momento difficile della mia vita dalla cui morsa tentavo in ogni modo di sfuggire. Mi stavo disintossicando e i medicinali che assumevo, così credevo, mi avrebbero permesso di avere la coscienza protetta per affrontare la prova che deliberatamente avevo scelto di intraprendere. Volevo sapere”.
In quel momento ci rendevamo conto di quanto fosse difficile esternare quell’ultimo passaggio: le nostre gole erano serrate, le orecchie attente, le pulsazioni del cuore battevano a ritmo convulso.
“La verità , se una c’era, sarebbe passata sul mio corpo. Credevo di essere forte a sufficienza ma sbagliavo”.
Il ricordo stentava a prendere forma verbale, necessitava un aiuto.
“Cosa successe ?”
“Mi trasferii qualche giorno nella casa paterna e , dopo l’ora di pranzo, mio padre mi raggiunse nella mia camera. Ero quasi completamente svestita. Lui mi accarezzò come se non fossi sua figlia. Era tutto confermato, quell’orrore c’era stato davvero ! Restavano ancora molti punti oscuri. Mio padre si era comportato con me come aveva, presumibilmente, fatto con mia sorella. come se non fossimo entrambe sue figlie. Mia sorella era figlia del primo matrimonio di mia madre, ma io ? Qualcosa dentro di lui lo aveva spinto a quegli atti contrari alla morale incalzato da poca coscienza, da follia o
aveva agito in nome di una inqualificabile pretesa libertà ?O spinto da quali dicerie?”
Esistono domande alle quali possono non esservi risposte .
A seguito di quella confessione un brivido percorse le nostre ossa facendo accapponare la pelle.
Quante vite erano state compromesse da quella abusata libertà, quante dal senso dell’onore che la nostra civiltà impone, quante dalla vergogna che si prova ad essere parte in causa ?
La vittima era una famiglia intera.
Non esistevano più parole per la comprensione.
Quanta pena..
“Mi dispiace” dissi e ci abbracciammo, unite da una storia che, al di fuori
di quel viaggio, non ci avrebbe mai più avvicinato.
Scendemmo a stazioni diverse.
“La vita continua. Ciao e…grazie !”
Mentre tornavo a casa frastornata da quella rivelazione camminavo lentamente riportando alla mente ogni particolare di quel viaggio.
Fu allora che mi ricordai delle parole apprese durante la mia prima lezione di taoismo :
Impara a vedere ciò che c’è di buono nel male e ciò che c’è di male nelle cose buone.
” Che cosa poteva esserci di buono in quella situazione ?” mi chiesi.
La risposta fu immediata, era da sempre nascosta nelle parole dette all’inizio del nostro viaggio :
“Mio padre mi ha fatto essere quella che sono”.

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