Seduto su quel muro a secco si guardava le gambe penzolare giù senza toccare il terreno.
Il sole gli scaldava la schiena e il tepore del suo corpo gli saliva sino alla nuca trasformandosi in vapore acqueo.
Sudava copiosamente quella mattina ma non aveva alcuna intenzione di spostarsi dalla sua posizione, quasi il farlo potesse significare il dover interrompere il corso dei propri pensieri.
La terra sotto ai suoi piedi era arsa , l’erba secca : da anni non si era vista una estate così arida persino il mare, all’orizzonte, non riusciva a far pervenire la sua frescura.
“Tutto sarebbe passato” si disse “… e sarebbe tornata, con la pioggia, la normalità.
Si trattava solo di attendere, in fondo il tempo aveva in se il suo ritorno, era circolare.
Proprio questa riflessione gli continuava a girare per la testa impedendogli di muoversi sino a quando non ne fosse stato completamente convinto.
“Un tempo senza ritorno era come una eco senza voce, non aveva senso” ripetè fra se e se.
Eppure gli anni passavano e non si poteva tornare indietro a rivivere quell’epoca dove beati si giocava con le formine sulla spiaggia.
Dunque il tempo non aveva un ritorno.
No non era questa la verità, lo sentiva a pelle e nel profondo del suo essere.
Si ricordò di un libro che, quando era piccolo, la mamma gli leggeva la sera, a capo del suo letto, cercando di ricreare quella intimità che si era perduta durante il giorno.
“Il Piccolo Principe”
Sulla copertina c’era una immagine affascinante : l’autore vi aveva disegnato un bambino in piedi sopra un pianeta infinitamente piccolo si trattava del “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint Exupery.
Allora gli tornarono alla mente le parole che il personaggio della volpe aveva indirizzato al Piccolo Principe : “Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.
Per arrivare a comprendere bisognava porsi come novelli archeologi alla ricerca di prove che potessero essere portate a testimonianza davanti al proprio essere, l’io nascosto, per poi attendere dal cuore la decisione.
Come prima prova, pensò, era cosa vera ed inconfutabile che la terra fosse di forma sferica, aveva un inizio ed una fine e nel suo movimento tornava sempre al suo punto di partenza.
Poi c’era la luna al cui magnetismo, ogni 28 giorni, si assoggettavano le maree facendo innalzare il livello del mare. Entrambi erano cicli dalle regole fisse.
Anche nascere e morire era un ciclo compreso in un arco di tempo, ma irregolare, soggetto solo al destino o, per meglio dire, al proprio cammino.
Comprese, mentre una leggera brezza gli accarezzava il corpo, che doveva porsi in una posizione più distante per afferrare il senso dei propri pensieri.
Non fisicamente ma mentalmente : doveva prendere distanza.
Allontanarsi idealmente dalla terra, volare su in alto…così in alto da poter vedere distintamente i movimenti sia del pianeta e del suo satellite che quelli dei suoi piedi… ora impegnati a roteare su se stessi.
Quei movimenti erano tutti circolari solo i loro tempi erano diversi.
La loro durata dipendeva dagli ostacoli che avessero incontrato nella loro orbita.
“Alcun problema, al momento, per terra e luna” pensò, qualcuno in più per le sue gambe se non avesse fatto bene attenzione ad evitare il ramo di fico che usciva proditoriamente dal muretto dove era seduto, proprio lì accanto alle sue caviglie.
Certo che confronto all’orbita effettuata dai suoi piedi il percorso di quella della terra era infinitamente più lungo tanto da essere paragonabile, se visto dal suo interno, a una lunga strada rettilinea senza fine.
Il suo cuore , allora, capì : il tempo era circolare, il vederlo dipendeva tutto solo dalla dimensione in cui era posto.
Era vero che si nasceva per crescere e morire ma questo era nell’ordine delle cose proprio come un albero i cui frutti nascono come germogli maturano in frutti per poi cadere sulla terra a marcire.
Gli venne alla mente l’immagine di un albero dalla chioma ovale tra le cui foglie e frutti, sui rami, erano posati infiniti uccelli e non poté che considerare il paragone nella sua totale perfezione.
“Albero della Vita” di Mario Schifano
Esisteva sicuramente un tempo lineare, eterno ma non apparteneva alla nostra dimensione terrena.
Era vero il tempo era circolare così come il governo e la politica degli uomini, che lo volevano lineare, erano cose avulse dalla realtà della vita, mere proiezioni di fantasie atte solo a meglio dominare il corso degli eventi.
Un anno zero serviva solo a questo, era solo un elemento pratico…per nulla reale !
Lo dimostravano i diversi tempi che le culture della terra gestivano in forme diverse: l’anno Cinese, quello Ebraico, l’Anno Domine e il tempo Indiano. Tutti diversi.
Date discordanti fra loro, che pur attestavano uno stesso tempo, stavano ad indicare come fossero tutte una convenzione di continuità. Un falso accettato.
Il tempo aveva un moto circolare e , a ogni suo ritorno, portava con se innovazioni e scorie, un bagaglio che l’alta marea sbatteva sulle spiagge perché qualcuno potesse raccoglierlo e buttare via ciò che inquinava.
Ora l’essenziale del suo pensiero era raggiunto ma qualcosa stonava ancora sfuggendo alla sua percezione.
“Come porre in tutto questo l’utilità del Carpe Diem, l’afferrare l’attimo?” chiese al proprio io.
Immagine presa dalla rete
In quella antica frase latina non era insito il concetto dell’usa e getta bensì quello di costruire e trattenere ogni attimo della propria esistenza.
Approfittare della vita per viverla ed edificarla senza…abbandonare nulla alla corrente, nessun incontro doveva divenire una scoria.
Il Carpe Diem aveva in se una morale elevata ma , per comprenderla , era necessario porsi nuovamente ad una certa distanza per cogliere il pensiero nella sua interezza e poter analizzare causa ed effetto.
Si ricordò quando, con il padre, aveva assistito alla proiezione dello splendido film di Peter Weir “L’attimo fuggente” (1989 Oscar per la miglior sceneggiatura ) e di come si fosse, in quella occasione, calato nei panni di uno dei protagonisti, Neil Perry, un ragazzino della sua età, impegnandosi, fervido del suo stesso entusiasmo, a scoprire il significato nascosto del Carpe Diem.
Locandina del film
Allora non vi era riuscito . Ora, invece, si sentiva molto vicino alla verità.
Il vivere ogni giorno della propria vita come fosse l’ultimo non significava abusarne gettando via ciò che si era consumato in un appetito da trogloditi.
All’opposto il fine era il condividere il proprio percorso con chi ne avrebbe , dal momento dell’incontro, fatto sempre parte.
Alcuna superficialità nell’agire ma una consapevolezza che ogni incontro rappresentava non solo una opportunità ma soprattutto una unione nel percorso della propria vita, fosse esso la rappresentazione di una amicizia, di un amore, di una conoscenza, di un rapporto lavorativo.
Nulla era fine a se stesso, tutto cooperava.
Il Carpe Diem insegnava a crescere e ad imparare a vivere i propri rapporti con la prospettiva di una immediatezza e di una continuità così da consegnare, alla storia dei tempi, ricordi proficui e nessun abbandono.
Il sole batteva forte, le tempie gli dolevano… crebbe in lui la paura di essersi preso una insolazione. Scese dal muretto per correre a casa dalla madre e , nel farlo, ebbe cura di rimettersi in testa il berrettino che lei gli aveva imposto quella mattina.
Aveva solo otto anni ma il discorso fatto su quel muretto con il proprio io interiore, il suo archètipo, gli sarebbe servito per il resto della vita.
Mentre correva a perdifiato verso casa concluse, fra se e se, quanto poco rilevasse, alla fine, se si intendesse il tempo circolare o rettilineo, in quanto l’importante era viverlo bene !
Carpe Diem !
…ero proprio piccola !
Anche io avevo fatto un patto con il mio io interiore.
Avevo tre anni, i miei si erano da poco separati, e avevo deciso di non crescere più.
Data l’età ero priva di conoscenza acquisita ma il mio archètipo sapeva ciò che non mi era ancora noto e accondiscese al patto.
In effetti una parte di me, ancora oggi, è rimasta infantile e benché la vita , lungo il suo percorso, mi abbia insegnato, talvolta a mie spese, una maggior comprensione non è però riuscita a liberarmi da quell’impegno reciproco… contratto per il timore di ricadere negli stessi errori.