Nella nostra lingua italiana il ‘tramite’ è sinonimo di sentiero, di un passaggio che si fa percorrere per congiungere due realtà separate.
Tradotto in lingua inglese diventa ‘go-between ’, il messaggero, anche se, il ‘tramite’, non è identificabile con la figura di un Cupido, nell’atto di tirare gli strali d’amore, ma con il mezzo da lui usato…l’arco!
Nell’allegoria del pittore Tiziano, che rappresenta l’ iniziazione all’Amore ( ndr L’Amore Bendato. Galleria Borghese Roma), Venere è raffigurata affiancata da due Cupidi : uno bendato, l’altro con gli occhi ben aperti ed attenti. L’arco e le frecce, nella tela, sono portati da due figure nettamente distinte proprio a sottolineare il loro diverso utilizzo. La donna che porta l’arco ha le fattezze della casta Diana mentre le frecce sono affidate ad una figura appassionata ed in parte nuda.
Assimilando all’arco il mezzo, il tramite e quindi l’uomo… ne discende che le frecce debbono essere equiparate alle immagini, alle parole e alle emozioni che hanno il compito di aprire un varco quando l’obiettivo è raggiunto.
Tiziano : L’Amore Bendato ( Galleria Borghese Roma )
Per questo motivo esse saranno dense di passione e in parte nude, colme di verità non celabili.
Il ‘tramite’ è il puro che si fa attraversare, lo strumento il cui utilizzo consente il raggiungimento delle finalità volute da un ben attento, ma successivamente bendato, figlio di Venere.
Senza farsi troppo affascinare dalla figura del Cupido, che incarna la filosofia della “docta ignorantia” ( il cui spirito indagatore, pur conservando il ruolo di consigliere, deve alla fine cedere il posto alla impulsività della passione), è necessario porre l’attenzione sul mezzo.
L’ arco , tenuto ben saldo, viene usato con occhio che vede, con precisione estrema, ma che si fa distogliere, nel momento della tensione, quando libera la freccia che spicca il volo e colpisce, così, alla cieca.
L’artista è l’arco, il mezzo, il tramite…è colui che, puro e neutrale, si fa percorrere dalla conoscenza a totale usufrutto di un obiettivo sconosciuto.
Queste cognizioni mi sono pervenute precocemente, frutto delle mie personali esperienze, in una parte della mia vita durante la quale mi è stato fatto dono dell’incontro ravvicinato con un ‘tramite’.
Artista concettuale per eccellenza ‘Alighiero e Boetti ’ ha accompagnato un tratto della mia esistenza, segnandola in maniera indelebile.
Alighiero, in un suo autoritratto, si raffigurava a cavallo di uno struzzo e, assumendo le fattezze di un novello centauro arciere, esprimeva l’indole del sagittario, sotto il cui segno zodiacale era, per altro, nato. L’uomo per metà struzzo/cavallo rappresentava la parte ancora animalesca della sua entità artistica e l’indissolubilità dall’utilizzo del suo mezzo, l’arco.
Con lui ho avuto una breve e clandestina storia d’amore che si è conclusa in un rapporto di tenera e protettiva amicizia. Il nostro amore nacque nel suo studio in piazza Santa Maria in Trastevere e continuò durante alcuni viaggi intrapresi insieme. Nell’anno 1977 ci recammo a Venezia, Milano e Zurigo in occasione di una sua mostra organizzata dalla Galleria di Anne Marie Verne, durante un particolare e folcloristico carnevale.
Alighiero fotografa Anne Marie Verne e me , di spalle
Come ogni artista , Alighiero, aveva il dono di porsi quale tramite per la conoscenza, si faceva attraversare dal fuoco sacro e la sua arte diveniva immediata rappresentazione attraverso quelli che lui soleva chiamare ‘segniedisegni ’. I primi uscivano alla superficie attraverso la sua mano, i secondi venivano letti e da lui stesso interpretati successivamente.
A Zurigo eravamo ospiti di una piccola pensione nella cittadella antica e, all’interno della nostra stanza, le pareti avevano come decorazione una linea retta che scendeva obliquamente dopo aver
percorso, in modo orizzontale, un buon tratto del muro.
La strada della nostra Pensione
Solo dopo aver lasciato i desideri, dei nostri corpi, liberi di ritrovarsi…quando ormai , sazi d’amore,languivamo nella penombra di quel pomeriggio , solo allora le nostre coscienze si risvegliarono.
“Guarda che strano percorso fa quella linea sul muro…” gli dissi accorgendomi, in quel momento, del particolare decoro .
“E’ vero, manca qualcosa…” mi rispose Alighiero alzandosi dal letto e correndo d’impeto a disegnarvi sopra una sfera in procinto di seguire la china.
Quello era il ‘segno’…il resto era il ‘disegno’, la conseguenza non nota!
La sfera esprimeva il desiderio di scivolare assecondando la pendenza o sarebbe rimasta lì per sempre nella sua immota potenzialità ?
La risposta era affidata al caso, all’ignoto.
L’artista si fermava lì, alla riproduzione di una armonia.
Proprio come un violinista che libra le sue note nell’aria…non tutte toccheranno l’animo delle persone presenti. L’armonia raggiungerà, tra loro, quelle più fortunate sfiorando le corde del sentimento mentre un brivido le accomunerà per farle sentire parte indissolubile di un tutto ; un tutto non noto ma di così elevata spiritualità da non porre dubbi sul suo celato beneficio.
La rappresentazione alla quale, quel giorno, avevo assistito mi indicava chiaramente il fascino che qualsiasi forma d’arte avrebbe imposto al mio essere…diventando, per me, sempre salvifica.
All’epoca ero poco più di una giovinetta che procedeva a tastoni nella vita, confusa anche dall’uso di qualche spinello di troppo ! L’arte mi fornì, in seguito, lo spirito per ricuperare i valori perduti.
Durante il nostro soggiorno a Venezia, ospiti dei disegnatori di Hugo Pratt , eravamo, nella notte, sempre in giro per le calli deserte… quando tutto era immoto, consegnato per sempre ad un tempo senza tempo. L’assenza di strade percorribili dalle auto dava l’impressione di trovarsi dentro ad un proscenio medioevale. I ponti sospesi sull’acqua cheta, le pareti esterne delle case scarnificate da quelli che noi chiamavamo ‘ segni druidi’…tutto questo portava a sognare e a vivere in un mondo incantato dove ogni cosa era possibile, ogni pensiero attuabile.
Fotografo Alighiero ( a destra immagine ) in metropolitana a Milano
Alighiero mi raccontava come doveva essere la Venezia di un tempo…prima della pestilenza.
A memoria degli avvenimenti luttuosi, causati dai miasmi della peste, tutte le gondole, a seguito di un editto, furono coperte di pece nera, vennero tolti gli arazzi colorati dalle finestre, aboliti gli stendardi da ogni dove e la splendente città sulla laguna divenne quella che oggi vediamo…più spenta e grigia anche se pur sempre splendida.. ma, attraverso quelle calli, si continuerà per secoli a camminare . Di questo, almeno, potevamo continuare a godere !
Venezia è il ‘tramite’ attraverso il quale la conoscenza può facilmente raggiungerci ; è un tempio a cielo aperto nel quale si può ancora vivere e ricevere dalle sue pietre il benefico influsso di civiltà passate ma pur sempre presenti.
“We are what we are because what we were” ( Siamo ciò che siamo in seguito a ciò che eravamo ) è la frase che esprime al meglio il concetto del film di Joseph Losey , girato nel 1970, dal titolo “The Go-Between” con Julie Christie, Alan Bates e Edward Fox.
Nella trama del film, sceneggiata da Harold Pinter sulla base della novella autobiografica scritta da Lesile Pali Hartley ( 1895-1972),non è la conoscenza ad usare il ‘tramite’ ma sono gli esseri umani a coinvolgere un ‘puro ed innocente’ tredicenne quale messaggero per la loro proibita e vittoriana storia d’amore.
Effetto Boomerang
Un giovane Cupido dagli occhi aperti che rimane coinvolto e traumatizzato, a vita, dagli eventi causati dal suo intervento.
E’, forse, questo l’altro motivo per cui Venere benda Cupido : per preservarne l’entità psicologica non rendendolo partecipe agli effetti determinati dalle sue frecce..
Un ‘tramite’ sa percepire e rendere visibile una armonia, un messaggio di conoscenza ma non ne conosce il destinatario, ne ignora il disegno finale.
A questo punto mi coglie l’improvviso desiderio di aggiungere ulteriori conoscenze, anche se corro il rischio di fornire l’immagine virtuale di una carovana in cammino cui è stata aggiunta una nuova carrozza ! Le mie ultime esperienze si riferiscono ad un ‘tramite’ particolare, da me individuato nel ballo del Tango e negli accordi della sua musica.
L’armonia è una speranza che si concretizza e, nel farlo, crea le condizioni per potere ancora sperare, per poter rivedere lampi di luce, solo lampi…attimi… nei quali si può assaporare l’essenza della vita; chiudere gli occhi e abbassare la falda del cappello per divenire tramiti nel ‘toccare’ uno strumento ( ndr: toccare dal latino tangere) e sentire le note di un Tango che prendono vita, “strassi de vitta”! Pura melanconia l’esser stati vicini, ma mai abbastanza, a quei sogni che si concretizzano nella fuggevole realtà di un Tango, in quella musica che , più di ogni altra, incarna il principio di una costante evoluzione. Non se ne conoscono le origini e i fini : è l’eterna ricerca di una composizione da parte di un interprete…sia esso musicista o ballerino !
il ballo…condivisione di armonie
http://www.letrasdetango.it/links.htm
Il Tango , tramite di vita, riunisce ritmi africani, accordi andalusi e habanere cubane per dare vita al Tango Argentino. Il Tango Flamenco, già nel XV secolo, fu importato dai Mori nelle regioni a sud della Spagna e, trattandosi di un ballo equivoco, fu bandito, con provvedimenti ufficiali, dalle regioni ispaniche del nord e adottato dalle comunità di gitani che si spostavano continuamente da una località all’altra, eludendo così i pressanti divieti. Con la migrazione dei gitani verso il Centro America il tango mise nuove radici a Cuba e da lì ad arrivare in Argentina il passo fu breve.
I voluttuosi intrecci di gambe devono la loro provenienza dai passi della Habanera cubana.
Musica di riscatto per gli emigranti, di ogni tempo e luogo, veniva ballata nel nuovo mondo nelle vie e nelle piazze, nei conventillos e , a seguito delle nuove restrizioni in quanto considerata pratica scandalosa e anche omosessuale, nei postriboli di Buenos Aires.
Il ritmo del vals ,del flamenco, del canyengue, del condombe si arricchirono nella milonga !
Il Tango nasce dalla povertà, dalla sofferenza, dal fango, dalla assoluta necessità di credere in un riscatto da parte di una miriade di persone provenienti da ceppi etnici differenti che, mescolandosi, formarono la più struggente , appassionante e coinvolgente forma di musica, parole e danza.
Una poesia nata da un popolo di esclusi che è diventata patrimonio del mondo intero.
Emigranti genovesi si sono mischiati a emigranti di ogni razza e si sono ritrovati in Argentina a ballare nelle milonghe; a fatica, hanno riscattato ciò che restava della loro vita…per il tramite di un Tango hanno ricominciato a viverla.
Roberto Valla
Così canta il genovese , novello tanguero:
“…Onde che portan saluti ed abrassi
cammallan fadighe e schen-ne ciaeghe
lampi de luxe che parlan argentin
strassi de vitta da poei riscatta’
odo de ma’ …” ( Roberto Valla per Letras de Tango cuarteto)
(…Onde che portano saluti ed abbracci
Trasportano fatica e schiene piegate
Lampi di luce che parlano Argentino
Brandelli di vita da poter riscattare
Odore di mare… )
e corre el tanguero, corre come ‘el loco’ sui cornicioni dei tetti argentini…con ‘una rondine nel motore’ ( frase in gergo Bonairense per indicare una persona con il cervello fuori fase.)
Nel Tango si accentua il controsenso, l’incoerenza: alle volte è la musica a seguire i ballerini, altre è “ un pensiero triste che si balla”…ma, sempre, nelle sue note è presente l’energia, il dinamismo e l’allegria !
E’ la perfetta realizzazione di un desiderio che dura il tempo del suo divenire, un sogno non detto dove la musica, i passi non sono codificati ma nascono da un affiatamento intimo ed estemporaneo.
Strassi de vitta!