Una Via di Fuga

Vorrei averla io, ora, una via di fuga per non dovere raccontare l’indicibile, quegli episodi che hanno inciso pesantemente sulla mia esistenza che poche, pochissime persone sanno e, neanche loro, conoscono completamente.  Una di queste è Carlo, il mio ex marito, che mi ospitò, nonostante fossimo già separati, quando il fattaccio accadde. Forse ne rimase anche lui così sconvolto da rinunciare per sempre alla mia persona, da decidere in cuor suo la mia appartenenza, da quell’infausto momento, ad un altro mondo a lui fortunatamente sconosciuto .Una condanna scritta sulla pelle che avevo volontariamente assolto in quegli anni della mia prima giovinezza, come se sapessi e conoscessi l’iter, l’ineluttabilità di quel destino che , inconsciamente, sapevo già come affrontare Una condanna a terzi scontata sulla mia pelle, irrevocabile… ed io sopravissuta…  Più di un anno fa, sul Blog, ho iniziato il racconto della mia vita con un viaggio durante il quale si  determinarono molte conseguenze, nel 1974, l’anno in cui perse la vita mia sorella Halina, Ala per me.

Durante quel viaggio in  Oriente

La persona che mi invitò a partire per l’Afghanistan, Giorgio Conti, apparve nella mia vita all’improvviso, giunse a casa mia e vi si installò durante quella primavera.  Senza arte ne parte, sapendo però decisamente quello che voleva e con il viatico di tanto hashish  e olio afgano da fumare , determinò la sua presenza in maniera irrevocabile. All’epoca era sempre senza soldi, circostanza che avrebbe dovuto farmi pensare, quando all’improvviso fu in grado di offrirmi un viaggio per Kabul con partenza da Londra per Karachi e prosieguo con mezzi locali sino alla capitale afgana.  Avvenne tutto in quattro e quattr’otto!

Veduta dall’alto di Palazzo Orsini e dell’Isola Tiberina

Passai a salutare  mia sorella  Ala dall’altra parte del Tevere nella sua piccola casa in Vicolo del Porto, traversando a piedi il ponte sull’Isola Tiberina che separava l’una dall’altra le nostre due case.  Fu quella l’ultima volta che la vidi in vita. Ala abitava in una casa con solo due appartamenti, sotto il suo quello del pittore Marcello Crisi, che aveva ospitato Paul Getty Junior prima del suo sequestro mentre lei lavorava in un villaggio turistico a Capo Rizzuto, in Calabria . La figura di mia sorella è stata per me fondamentale nella crescita e nello sviluppo. A lei che, quando io ero piccola, aveva iniziato come attrice di teatro a recitare nel ruolo di protagonista con Vittorio Gassman in “Un Marziano a Roma” di Ennio Flaiano , a lei devo l’apertura mentale e le basi della mia coscienza intellettuale.

Ala a Teatro per  le prove con Gassman

Amica di Dacia Maraini, Alberto Moravia, dei pittori Franco Costa e Kantor mi aveva iniziato alla lettura regalandomi, fin dalla mia più tenera età, ogni sorta di libro, ben consapevole  come l’intelletto di una giovinetta si ampliasse grazie alle continue letture, nozioni ed inputs che solo uno scrittore poteva trasmettere ! Le volevo un gran bene anche se lei pensava il contrario perché ogni volta che entravo a casa sua mi trasformavo in una colf, mi mettevo a fare ordine, a pulire in cucina le pile dei piatti e delle padelle sporche di una settimana, in tal modo criticando, a suo vedere  palesemente,  il suo modo di vivere.Nulla di più errato! Volevo solo esserle utile e non potendo supplire intellettualmente in alcun modo lo facevo mettendole a posto la casa, ripulendola dai resti che, ogni sera, gli amici dell’intellighenzia romana lasciavano in giro. Ala aveva avuto una storia con uno chansonnier romano, Freddie e, seguendolo nelle sue tournèe, aveva scritto alcuni testi, tentando anche la strada della canzone, quella sofferta , introspettiva di  De Andrè o più dissacrante di Enzo Jannacci: “Vengo anche io? No ,tu no ! Ma perché? Perché no!”

Ala con Linka, la sua barboncina a Villa Borghese

Su di lei aleggiava lo sconforto di un destino, la tristezza di una vita che non si era potuta compiere come lei avrebbe meritato. Nata apolide, figlia delle persecuzioni della seconda guerra mondiale, cresciuta senza la presenza di un padre e di una famiglia alle spalle, aveva iniziato da piccola ad errare  nella vita cercando un focolare, un appoggio che aveva creduto di trovare di fronte a quel caminetto romano nella sua casa, con i suoi amici in una ora che le fu, invece, fatale.

Nostra Mamma Halina

A quella mia ‘improvvisa’ partenza per l’Oriente reagì con dolore anche mia madre benché stesse, anche lei, allontanandosi da Roma: aveva vinto ‘insperatamente’ un soggiorno ad Abano Terme , dove sarebbe rimasta, ignara degli accadimenti, fino al mio ritorno… una settimana dopo la morte di mia sorella.Queste ‘improvvise’ ed ‘insperate’ partenze ora suscitano in me dubbi profondi.Mia sorella Ala, Halina Zalewska, morì bruciata in quell’appartamento al primo piano di Vicolo del Porto mentre io ero in Afghanistan e mia madre ad Abano Terme. Ala, benché fosse dotata di grande coraggio, quando il fuoco invase il suo piccolo alloggio, non si buttò dai tre metri che la separavano dalla terra, dalla salvezza, ma morì soffocata in bagno, dove non c’era neanche una finestra, la testa vicino al water.Mia madre non seppe nulla, nessuno l’avvisò…Il padre di mia sorella, Sigmund Zalewski, arrivò dall’Inghilterra dove viveva con la sua nuova famiglia, solo per i funerali…Io ne venni a conoscenza solo dopo, quando a Londra, di ritorno da Karachi, andai a mangiare al Ristorante San Lorenzo e la mia amica Mara Berni mi informò…Erano passati dieci giorni…Il dolore non ha parole.

 Foto dal giornale Gente uscito con un vergognoso articolo

Mi sembrava di vagare nel vuoto con il vuoto dentro, avevo male al sangue e provavo dolore anche a sentirlo scorrere nelle vene.

Fu allora che decisi di troncare  con tutto, non volevo più qualcuno vicino a me, volevo solo stordire quella sensazione, quel sentimento di colpa che provavo per non aver impedito che tutto quell’orrore fosse accaduto. Mi sentivo paralizzata dall’impotenza e non so come ho vissuto, cosa ho fatto: credo di essermi assopita in quel dolore, di avere cercato ogni modo per scordarlo.Poi, un giorno di settembre, Giorgio se ne andò da casa mia. Ne fui sollevata , non lo volevo vicino. Non sapevo dare un perché ma la sua presenza mi era ostile.Una sera andai a letto con il suo migliore amico Danilo Moroni e all’alba, lui, rivestendosi, mi disse:  “Se fossi in te , Eli, me ne andrei via subito da qui.” Non prestai attenzione alle sue parole, quello era per me un messaggio di un pericolo da lui cercato e voluto.Mezz’ora  dopo la porta a vetri della mia piccola casa veniva abbattuta: Giorgio entrava come una furia mentre il suo amico Danilo sgusciava via.

La mia cucciola di cirneco Già

Furono calci e pugni…un massacro, perfino il mio cane Già scappò intimorita nel cucinino al piano seminterrato. Lo sguardo da forsennato, imbottito di anfetamine che gli rendevano plausibile quel suo comportamento, mi trascinò al piano di sopra per finirmi. Per infliggermi quella punizione che meritavo per averlo tradito…Mi trascinò a forza nel bagno per sbattermi la testa sul water e farla finita, in un copione già noto in cui qualcun altro aveva già perso la vita, mia sorella. Altre persone, in luoghi diversi ma artefici dello stesso disegno. Fu allora  che lo guardai con uno sguardo colmo di ingenuità, innamorato e gli sussurrai “Ti amo” e lui, lui si fermò nella sua follia omicida, mi abbandonò viva e scappò via. Il mio inconscio mi aveva salvata in extremis, mi aveva fornito una via di fuga dalla morte, quella scappatoia che mia sorella non aveva potuto invocare. Mi ero salvata la vita grazie ad una menzogna che aveva un fondo di verità.Era vero l’avevo amato come ho amato tutti gli uomini che, anche per breve tempo, hanno fatto parte della mia vita ma amavo infinitamente di più mia sorella perciò lo disprezzavo dal profondo per qualcosa che aveva fatto e di cui non avevo ancora piena coscienza. Facevo passare sulla mia pelle, per capire e in fine per condannare le responsabilità ad ognuno. Non sarei stata io a dirlo ma i fatti avrebbero parlato da soli. Giorgio mi aveva portato via, lontano mentre mia sorella moriva…lo aveva fatto coscientemente o era stato solo una pedina? Qualcuno lo aveva pagato per allontanarmi da Roma ? L’amico sapeva e lo spinse a finire il lavoro? Chi era più responsabile: chi attuava o chi ordiva dietro le quinte? Sapevo solo di essere viva , di essere sopravissuta al cinismo e alla brutalità degli uomini. Di avere vinto la vita e di doverla ora vivere lontano da tutto quell’orrore anche se, nella confusione in cui mi trovavo, non sapevo né come, né dove, né con chi. Poi sopraggiunse il terrore per l’aggressione  subita, avevo paura tornasse…chiamai Carlo e gli chiesi ricovero …Arrivai a casa sua in uno stato pietoso, restai nell’appartamento di Via Sistina senza andare all’Ospedale o a sporgere denuncia solo per non dover ricordare…ero completamente ricoperta di ematomi dalla faccia alla vita, una maschera nera. Carlo ne rimase sconvolto, non poteva capire e io non potevo spiegare. Sapevo di essere scampata ad un destino al quale mia sorella non aveva potuto sottrarsi e mi sentivo in colpa per questo, quanto… nessuno lo potrà mai sapere.

Passai due giorni da Carlo e poi, sempre in fuga dal mio persecutore e da me stessa, mi rifugiai da mia madre che davvero non aveva bisogno, in quel momento di vedermi in quello stato.                                                                                                                                                   Ma essendomi madre capì, sapeva cosa avevo fatto e perché…era la conseguenza logica ad un dolore che ci accomunava ma sul quale non serviva più parlare.In quella casa Giorgio mi cercò, scesi a parlargli : voleva un figlio da me!Quanto gli esseri umani possano essere malati, egocentrici, pazzi me ne accorsi  in quella occasione, di fronte a quell’uomo che era stato pronto a togliermi la vita e che ora si offriva ad essere il mio compagno di vita, addirittura  il padre di nostro figlio! Pazzi, tutti  pazzi, tutti malati pazzi senza possibilità e volontà di guarigione…Tornai a vivere a Palazzo Orsini, per un paio di sere Giorgio mi aspettò, nel viale di ingresso, nascosto dietro gli alberi di carrubo. Ero terrorizzata. Fu Edoardo, fratello maggiore di Stefanino Almagià a porre fine alla mia sofferenza : lo affrontò una sera e me ne liberò per sempre. Giorgio era un vile e bastarono quattro frasi, dette con voce decisa, a farlo desistere dal ricomparirmi davanti.La sensazione del vuoto non mi abbandonò, non sapevo se era una conseguenza di quanto mi era capitato o il dolore per la perdita di mia sorella, sapevo solo di stare male. Provavo una sensazione incontrollabile di assenza da questa terra come se nulla importasse più. Credo di non aver vissuto durante quel periodo, penso solo di esserne sopravissuta.Di quella tragedia rimangono le coscienze di chi sa e vive, con questa triste conoscenza, la sua vita e, ad ogni tramonto, ricorda come sia potuto avvenire tutto, con quanta responsabilità e con quanto assenso vi abbia preso parte…poca cosa il rimorso, davvero… ma è l’unico sentimento in grado di educare perché l’abominio non debba più avvenire.   Mia sorella non tornerà mai più , nulla comunque potrà pagare la perdita della sua vita. La responsabilità peserà sul cuore di chi ha permesso che accadesse.

Nei papiri egizi , sino alla XIX° Dinastia , si  “fanno parole” su cosa poteva succedere alla nostra partenza da questa terra :  per gli antichi nei sessanta giorni successivi alla nostra morte, mentre avvenivano i procedimenti di mummificazione atti a fornire un rifugio eterno allo spirito, quest’ultimo si sdoppiava. Si divideva dall’ anima.

Tomba di Nefertari: il gioco del ‘senet’ 

Si sedeva con il nulla a giocare a ‘senet’, una specie di dama, e così aspettava, ogni sera, il ritorno della propria anima che, a guisa di uccello, si era involata a veder gli effetti della appena perduta vita,della nostra ultima possibilità di evoluzione. Durante tutti i sessanta giorni l’anima tornava al crepuscolo ad informare lo spirito delle conseguenze che la propria vita aveva lasciato dietro di lui. Solo al termine di quel periodo lo spirito poteva essere sufficientemente informato sui fatti e misfatti della propria esistenza e poteva essere in grado di affrontare la bilancia di Maat : su un piatto il proprio cuore che doveva pesare , per essere giustificato, come la piuma timoniera di Maat, simbolo di verità, di equità e di ordine, poggiata sull’altro piatto .

 L’Essere Giustificati

Se il cuore, durante la vita, non avesse assolto l’impegno a ricercare i valori di Maat e si fosse appesantito con comportamenti ad essa difformi, allora non sarebbe potuto essere giustificato e sarebbe finito nelle fauci di un mostro che lo avrebbe defecato nuovamente in terra. Quale fine peggiore di essere annullati, trasformati in sterco e ributtati indietro a ricominciare, come rifiuti, con solo un barlume di vita dentro ?Davvero non credo valga la pena errare, meglio ricercare la comprensione dei propri errori in vita, al fine di non doverli affrontare quando non vi è più nulla da fare. Imparare a perdonare e a farsi perdonare, cominciando a riconoscere gli errori per quello che sono : delle pericolose cadute da non ripetere !

Copyright © Ely Galleani Blog. All rights reserved.

Share this post

Condividi su facebook
Condividi su google
Condividi su twitter
Condividi su linkedin
Condividi su pinterest
Condividi su print
Condividi su email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *